E’ stato presentato oggi, presso la sede della Camera di Commercio di Roma, il report della Cgil di Roma e del Lazio sull’evoluzione del lavoro, delle imprese e dei redditi da lavoro dipendente nella Capitale dal 1991 al 2020.
Oltre al segretario generale della Cgil regionale Michele Azzola e alla segretaria della Cgil nazionale Tania Scacchetti, all’iniziativa ha partecipato il presidente di Unindustria Roma Angelo Camilli, il presidente della Camera di Commercio di Roma Lorenzo Tagliavanti, il prorettore alle Infrastrutture e Strumenti per la ricerca di eccellenza dell’Università La Sapienza Maria Sabrina Sarto, l’assessore regionale allo Sviluppo Economico e al Commercio Paolo Orneli.
Lavoro sempre più precario, sempre meno pagato, calo degli investimenti pubblici e, più in generale, una tendenza che ridimensiona le aziende, si passa dalle grandi aziende alle piccole e micro aziende: questo è il quadro da tempesta perfetta emerso durante la presentazione del report.
Gli investimenti pubblici comunali sono crollati, passando da 1.5 miliardi nel 2005 ai 291 milioni nel 2019; una riduzione dell’84%. Il lavoro a Roma “si sta spostando sempre più progressivamente dalla attività manifatturiere lavorative verso i servizi – ha detto Anelio Corsi, della Cgil di Roma e del Lazio. “Le attività manifatturiere si riducono come addetti del 50% e come imprese del 39%. Analizzando invece due settori trainanti come il farmaceutico e l’agroalimentare viene fuori che il farmaceutico ha perso 2.500 posti di lavoro è l’industria alimentare ne ha persi 4.500. Però se nel farmaceutico la riduzione è avvenuta tutta sulle fasce alte del lavoro, cioè in ricerca e innovazione, nell’industria alimentare quei dati sono il frutto di chiusure delle aziende”.
“A Roma si è registrato il più alto incremento del numero di imprese attive in Italia – ha continuato – Il problema è che il riposizionamento è avvenuto tutto sulle fasce basse di reddito e dei settori. Tra il 2008 e il 2019 le attività manifatturiere le costruzioni stanno tutte retrocedendo. Questo ovviamente ha avuto il ricadute anche sulla professionalità. A Roma diminuiscono le S.P.A. e aumentano le piccole imprese. Quello che preoccupa è che se la deriva è questa anche gli investimenti stranieri si plasmano su questa struttura. I capitali che arrivano dall’estero si inseriscono nei prodotti di consumo nel tessile nei servizi finanziari in hotel turismo e nei trasporti. Questo determina che la struttura occupazionale è tutta sulle vendite quando arrivano i capitali quindi anche quando arrivano capitali dall’estero non determinano una crescita di posti di lavoro di qualità ma determinano nella scala delle professionalità un incremento di quelli più bassi”.
Il futuro di Roma “dovrebbe stare in termini di competitività – ha sottolineato – proprio in questi settori: aerospaziali, agrifood, automotive, chimica, elettronica, energia verde. Eppure la dinamica è quella di spostarsi su altri settori. Roma dal 2003 al 2020 ha avuto 5 miliardi di investimenti esteri suddivisi tra circa 2400 progetti. Questo comporta che nonostante tenta ad aumentare il valore aggiunto totale quello pro capite diminuisce di una percentuale molto alta. Tanto è vero che Roma, in termini di valore aggiunto pro capite, arretra da 36.200 euro del 2008 ai 34.400 euro del 2019″.
C’è anche un altro tema “che è quello dello scivolamento dalle grandi aziende alle piccole e micro imprese. Questo comporta un calo della retribuzione media di tutti i profili professionali. Perché dentro le grandi aziende si fa la contrattazione integrativa e quindi cresce il salario dentro le microaziende non si fa”.
Fra le conseguenze c’è che “ad ogni contratto stipulato diminuiscono le ore lavorate per media per singolo addetto, più persone si dividono il lavoro che c’è con contratti a termine di breve durata e con un part time involontario crescente, si riduce il perimetro di chi ha un contratto a tempo indeterminato e quelli ha termine hanno una durata breve, spesso brevissima”.
Nella Capitale “dal 2001 al 2018, tra la fascia di reddito da lavoro dipendente 0-10mila e 75-120mila hanno perso tutti. Nel frattempo, visto il calo dell’aliquota superiore Irpef, si è fermata anche la redistribuzione”.
“Roma è una città più povera, una città che invecchia e non più attrattiva per i giovani e se la macchina va avanti in questa direzione noi sappiamo che nel 2050 Roma sarà una città finita dal punto di vista produttivo perché diventerà una città per anziani – ha detto Michele Azzola, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio. “Le risorse sono tante e nei prossimi anni daranno un sollievo, ma se non le spendiamo bene alla fine lasceranno maceri peggiori di quelle che abbiamo oggi”.
“Il report traccia un lento e inarrestabile declino – ha evidenziato – e sarà nostro compito tracciare un futuro. La sfida che vorremmo provare a lanciare è quella di capire se noi corpi intermedi saremo in grado di elaborare un progetto che, in sintonia con la Regione, provi a fare atti che invertano queste misure”.
Le conclusioni dell’iniziativa sono state affidate a Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil.
“Questi 30 anni ci consegnano un cambiamento profondo della struttura produttiva, sociale e demografica e una fase di declino industriale del nostro Paese che denunciamo da anni ha detto -. A preoccupare è l’impoverimento del lavoro e, in particolare, dei lavoratori dipendenti. Un tema, quest’ultimo, che si tende a sottovalutare. Eppure è un punto che va visto analizzando la crescita, in questi 30 anni, di un capitalismo con tratti di amoralità”.
“Se dobbiamo aggredire le disuguaglianze dobbiamo anche essere consapevoli che il modello capitalista degli ultimi 30 anni forse non è il modello in grado di affrontare le sfide proposte dalla crisi. Sfide inedite quali la digitalizzazione, l’ambiente, adesso la gestione degli effetti sconosciuti della pandemia nel medio lungo periodo”.
L’intervento di Tania Scacchetti si è concentrato sul tema dei redditi, sul quale la segretaria ha dato 3 dati a livello nazionale: “meno del 20 per cento degli italiani detiene il 70 per cento della ricchezza. Negli ultimi 40 anni è cresciuta moltissimo la retribuzione di coloro che erano già nei percentili più alti della scala della ricchezza e questo ha dato vita a una polarizzazione fortissima tra i quadri dirigenti e i lavoratori delle fasce più basse, che sono soprattutto giovani. I loro redditi hanno teso, tra il 1975 e il 2017, a ridursi fortissimamente. Molti guadagnano meno di 800 euro al mese. Laddove il tasso di crescita dei dipendenti con le retribuzioni più alte, oltre i 550mila euro l’anno, nello stesso lasso di tempo hanno visto crescere il loro reddito del 300 per cento. Un fenomeno dalle forti ricadute sociali”.
“Per questo da tempo ci battiamo perché vengano fatte scelte mirate: la crescita delle retribuzioni, puntando alla piena occupazione che sia una occupazione di qualità: quindi crescita dei salari come misura di politica economica. La centralità della formazione e della conoscenza, quindi fare scelte di politica industriale. La condizionalità, fare delle scelte che devono premiare chi predilige occupazione di qualità e assume giovani e donne. Altrimenti non il trend non si invertirà mai”.
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10 giugno 2021