“A Roma se una persona muore tra il giovedì e il sabato non ha il diritto di essere cremata”. Il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola, parlando all’agenzia Dire fa i conti delle conseguenze della scelta di Ama di mettere il numero chiuso alla cremazione delle salme, a causa della mancanza di forni crematori.
“Con il comunicato alle agenzie e ai centri di servizi funebri Ama dichiara la sua resa nella gestione dei servizi cimiteriali – spiega Di Cola -. Invece di trovare soluzioni strutturali e richiamare l’amministrazione capitolina alle sue responsabilità, fa pagare il prezzo ai cittadini imponendo il numero chiuso alle cremazioni e trasformando un diritto in una lotteria. Infatti, come emerge dal documento, l’azienda ha riferito di essere nelle condizioni di potere ricevere un numero massimo di salme da cremare pari a 200 per ogni settimana e che i sei forni disponibili sono in grado di lavorarne al massimo 380, il che significa poco più di 50 al giorno e tenendo una riserva per smaltire le 2.000 in attesa”.
Una situazione che secondo il sindacalista ha poco a che fare con la pandemia in corso: “Ama ancora una volta è costretta ad ammettere che i dati denunciati dalla Cgil sono veritieri e continua a trincerarsi dietro l’emergenza Covid. Se il Comune avesse mantenuto gli impegni e realizzato quanto stabilito nella delibera di giunta di agosto 2017, che stabiliva la costruzione di quattro nuovi forni, oggi non avremmo alcuna emergenza, anche con l’aumento della mortalità degli ultimi mesi. È incomprensibile che la municipalizzata voglia coprire le responsabilità del Comune e non dire che anche quando sarà superato il Covid l’emergenza cremazioni resterà: i numeri parlano chiaro“.
Per Di Cola “l’azienda non è in grado di fare fronte alla richiesta di cremazioni, che nell’ultimo biennio ha superato le 15.000 domande annue. Il Covid ha solamente accentuato un’emergenza che già esisteva. Infatti, la nostra prima denuncia risale al mese di giugno, quando c’erano oltre 1.000 salme in attesa”.
Quindi, “anche la mossa odierna Ama in ogni caso non risolve il problema perchè, anche negando il diritto alla cremazione ai cittadini, per smaltire le 2.000 salme che giacciono nei depositi approntati alla bene e meglio nel cimitero Flaminio, e su cui abbiamo sempre chiesto di far chiarezza, ci vorranno almeno tre mesi”.
Oltre alla costruzione di nuovi forni, Ama avrebbe potuto gestire la situazione in maniera differente? “Si’, ad esempio chiedendo alla Protezione Civile di allestire forni temporanei e chiedendo al Comune di eliminare la tassa per portare fuori città le salme e sottoscrivere convenzioni con altre strutture. La via maestra rimane quella di costruire i nuovi forni anche perchè, nel prossimo quinquennio, la richiesta di cremazioni prevista sarà di oltre 20.000″.
Ai viaggi dei rifiuti, adesso si aggiungono anche quelli dei defunti: “Sembra un film già visto, come quello dell’immondizia attorno ai cassonetti: trasformare in normalità un’emergenza e adeguarsi a servizi scadenti- conclude Di Cola- Con la vicenda cimiteri si chiude il cerchio del fallimento della giunta Raggi nella gestione di Ama”.
22 dicembre 2020
(Fonte: Dire)