Michele Azzola, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, ha sottolineato in un’intervista al Tg3 Lazio del 29 settembre 2018 la portata della sentenza della Corte Costituzionale che, accogliendo una eccezione di incostituzionalità sollevata dalla consulta dei legali della Cgil di Roma e del Lazio, ha dichiarato illegittimo il criterio di indennizzo economico del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo che il Jobs act legava esclusivamente al criterio della anzianità di servizio.
Di seguito riproponiamo un post pubblicato il 2 agosto del 2017 con i commenti rilasciati dall’avvocato Carlo De Marchis Gomez, della consulta dei legali della Cgil di Roma e del Lazio, e da Lorenzo Fassina (Ufficio Vertenze della Cgil nazionale) subito dopo l’ordinanza del Tribunale di Roma (Dott.sa Cosentino) che rimetteva alla Corte Costituzionale per sospetta incostituzionalità la parte del Jobs Act che prevedeva un indennizzo esclusivamente legato all’anzianità di servizio nel caso di licenziamento illegittimo. Dubbi di costituzionalità poi effettivamente accolti e fatti propri dalla Corte con la sentenza dei giorni scorsi.
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Testo dell’articolo pubblicato il 2 agosto 2017
Buone notizie per tutte le “vittime” del Jobs Act. Con un’ordinanza del 26 luglio scorso, il giudice Maria Giulia Cosentino del Tribunale di Roma (III Sezione Lavoro), ha rimesso alla Corte Costituzionale la disciplina del contratto a tutele crescenti, ovvero l’asse portante della riforma del mercato del lavoro targata Governo Renzi, in particolare gli articoli 2, 4, 10 del decreto legislativo 23/2015 e l’articolo 1, comma 7, della legge delega 183/2014 per contrasto con gli articoli 3, 4, 76 e 117 della Costituzione “letti autonomamente e anche in correlazione fra loro”.
Il tutto nasce dal ricorso intentato da una lavoratrice romana che, ritrovandosi licenziata “per giustificato motivo oggettivo” nel giro di sette mesi, si è rivolta alla Cgil di Roma nord Civitavecchia Viterbo per ricevere assistenza.
Nell’ordinanza il giudice sottolinea che l‘indennità risarcitoria, inoltre, non compenserebbe in modo appropriato chi viene licenziato atteso che “l’importo dell’indennità risarcitoria” prevista dal Jobs Act “non riveste carattere compensativo né dissuasivo e ha conseguenze discriminatorie” in quanto applicandosi solo agli assunti, come nel caso in questione, dopo il 7 marzo 2015 crea una evidente disparità di tutele rispetto ad altri lavoratori della medesima azienda e con medesime mansioni assunti in data antecedente all’entrata in vigore del Jobs Act e quindi non sottoposti al regime cosiddetto “a tutele crescenti”.
Scarica la copia dell’ordinanza del Tribunale di Roma che rinvia alla Corte Costituzionale il Jobs Act >>>
Per il legale che ha patrocinato la lavoratrice, l’avv. Carlo De Marchis Gomez del pool dei legali della Cgil, si tratta di un’ordinanza importante “sia per i problemi che solleva, sia per gli effetti, sia per la rilevanza generale che assume l’eventuale decisione, positiva ci si augura, da parte della Corte Costituzionale”.
L’avv. De Marchis Gomez spiega inoltre che l’ordinanza del Tribunale del Lavoro di Roma è il frutto di una articolata strategia messa in campo dalla Cgil per contrastare il Jobs Act. Strategia che continuerà anche nel prossimo autunno con altre iniziative analoghe volte a sollevare eccezioni di costituzionalità anche su altri aspetti critici della normativa “a tutele crescenti” non interessati dalla ordinanza del 26 luglio.
Una delle iniziative più significative che la Cgil intende mettere in campo sarà costituita dal ricorso collettivo presso il Comitato Europeo dei Diritti Sociali.
Lorenzo Fassina, responsabile dell’Ufficio vertenze della Cgil nazionale, spiega come a questa ordinanza non si sia arrivati a caso. “L’iniziativa della Cgil negli ultimi mesi – dice – è stata rivolta alla ricerca di casi concreti di licenziamento illegittimo da portare davanti alla Corte Costituzionale. Già dallo scorso marzo è stata messa in atto, con l’aiuto dei nostri uffici vertenze e dei nostri avvocati, una strategia di selezione del contenzioso. Non solo, abbiamo messo a punto, sia a livello di Cgil nazionale che di Camere del lavoro territoriali, un’ulteriore strategia per aiutare il lavoratore illegittimamente licenziato, eventualmente soccombente in giudizio, a sostenere le spese.
Per la decisione della Consulta si dovrà attendere di certo il prossimo anno. Ma questa ordinanza del Tribunale di Roma è un unicum nel panorama giuridico italiano e, secondo i legali e i giuristi della Cgil, ci sono buone ragioni per presumere che avrà un effetto domino anche in altre regioni italiane.
2 agosto 2017
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NB: A seguire riportiamo come ulteriore documentazione i principali passaggi di una nota di approfondimento, redatta dall’Ufficio Vertenze della Cgil nazionale, sulla importanza dell’ordinanza del Tribunale del Lavoro di Roma.
Una giudice del Tribunale di Roma, in relazione ad una vertenza promossa dalla CGIL per licenziamento illegittimo, ha deciso di sottoporre il contratto “a tutele crescenti” del Jobs Act (d.lgs. n. 23/2015) al giudizio della Corte costituzionale, per violazione degli articoli 3, 4, 35, 117 e 76 della Costituzione.
La Cgil ha fin dall’inizio considerato il d.lgs 23/2015 come una delle architravi più negative della complessiva riforma del Jobs Act, perché di fatto fonda la positiva volontà di sostenere le assunzioni a tempo indeterminato sulla attenuazione delle regole in caso di protezione di ingiusto licenziamento, spostando in misura significativa gli equilibri del conflitto di interessi nei rapporti di lavoro a favore del contraente più forte, l’impresa.
La disciplina prevista dal d.lgs prevede, solo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, l’eliminazione pressoché totale della tutela reale prevista dallo Statuto dei Lavoratori in caso di licenziamento illegittimo e un sistema di tutela risarcitoria molto debole, con i conseguenti effetti di indebolimento della condizione del lavoratore in azienda e con l’eliminazione di una importante funzione di deterrenza garantita dalla normativa precedente, ancorché già precedentemente modificata con la Legge Fornero. La giudice romana, dott.ssa Cosentino, pur sottolineando come la Corte Costituzionale abbia in più sentenze stabilito che la tutela reintegratoria non costituisce l’unico possibile paradigma attuativo dei precetti costituzionali, sottolinea i punti fondamentali per i quali tale decreto contrasta con molti principi costituzionali, anche sostenuti dalla CGIL.
In particolare:
• Per quanto riguarda la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), infatti, l’importo dell’indennità risarcitoria stabilita dalle norme del c.d. “Jobs Act” non ha carattere né compensativo del danno subito dal lavoratore in caso di licenziamento illegittimo né dissuasivo nei confronti dei “licenziamenti facili”, con possibili conseguenze discriminatorie (un lavoratore “a tutele crescenti” sarà infatti certamente più esposto a provvedimenti espulsivi rispetto agli altri).
• Lo stesso articolo 3 della Costituzione, cardine del principio di uguaglianza, viene inoltre negato in quanto l’eliminazione totale della possibilità, da parte del giudice, di modulare il risarcimento in relazione al singolo lavoratore, finisce per disciplinare in modo uniforme casi molto dissimili fra loro.
• Gli articoli 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro come valore fondante della Carta, sono sostanzialmente disattesi in quanto vengono monetizzati con un controvalore irrisorio e fisso.
• C’è infine il contrasto con gli art. 117 e 76 della Costituzione, in quanto la sanzione per il licenziamento illegittimo appare inadeguata rispetto a quanto stabilito da fonti sovranazionali come la Carta di Nizza e la Carta Sociale europea, mentre il rispetto della regolamentazione comunitaria e delle convenzioni sovranazionali avrebbe dovuto rappresentare un preciso criterio di delega, che è stato pertanto violato. Da questo punto di vista è davvero interessante evidenziare come l’ordinanza prospetti la violazione dell’articolo 24 della Carta sociale europea (in materia di adeguatezza degli indennizzi), esattamente come sostenuto dalla Cgil nel reclamo che verrà presentato nelle prossime settimane al Comitato europeo dei diritti sociali.
La pronuncia del Tribunale di Roma rappresenta quindi un significativo passo nella direzione auspicata dalla Cgil e consente di portare il contratto a tutele crescenti, tramite un singolo ricorso (cui auspichiamo ne possano seguire altri), alla valutazione della Corte Costituzionale.
Tale percorso, come definito anche dopo il pronunciamento negativo della Corte Costituzionale sulla possibilità di adire il referendum in tema di licenziamenti illegittimi, è una delle strade che continueremo a percorrere, insieme al reclamo collettivo per la violazione della Carta Sociale Europea e al contrasto tramite la pratica contrattuale, per arrivare al ripristino di norme che consideriamo fondamentali principi di civiltà, come sostenuto anche nella Carta dei diritti universali del lavoro, il nostro progetto di legge che ha raccolto oltre 1,5 milioni di firme e sul quale, grazie alla intensa mobilitazione di questi mesi di tutte le nostre strutture, è già iniziato un proficuo dibattito parlamentare.
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