Ceto medio, addio. La crisi del lavoro a Roma ha il volto di un disagio sociale che emerge da un numero sempre maggiore di lavoratori precari e aziende a rischio fallimento: a lanciare l’allarme sono i sindacati, Cgil in testa, che ha elaborato uno studio che porterà all’attenzione della prossima riunione del tavolo su Roma al Ministero dello sviluppo economico, in programma entro dicembre.
I numeri sono drammatici e descrivono bene ciò che sindacati e lavoratori chiamano macelleria sociale. Secondo l’Osservatorio sul lavoro della Cgil, al momento nel limbo del precariato ci sono almeno 19.300 lavoratori di cui più di 3mila già licenziati e vicini alla fine dei sussidi statali, 5mila in cassa integrazione e oltre 4mila in esubero: un eufemismo per dire che potrebbero non rientrare nei piani aziendali e quindi sono a rischio di licenziamento immediato. Ma ci sono anche più di 3mila lavoratori che faticano ad arrivare a fine mese perché devono fare i conti con ritardi sugli stipendi di almeno due o tre mesi. Non solo. Dallo studio della Cgil emerge che nell’ultimo anno solo 135 dipendenti hanno accettato il trasferimento disposto dall’azienda in altre città: gli altri sono entrati nella lista dei quasi ventimila precari censiti dalla Cgil e ora si chiamano “lavoratori in esubero”.
È una crisi che colpisce tutti i settori ma soprattutto i dipendenti a tempo indeterminato, dai 35 ai 50 anni, stipendio medio da 1200 a 1400 euro, specializzati e con almeno dieci anni di esperienza ma poche possibilità di rientrare nel mondo del lavoro: è l’identikit di quello che una volta si chiamava ceto medio e ora si rende conto che sta perdendo la sfida dell’economia digitale e globalizzata.
La crisi riguarda aziende di grande e media dimensione. A rischio immediato ci sono più di 400 lavoratori nel settore alberghiero, oltre mille nella sanità, quasi 5mila nella grande distribuzione. La Cgil cita i casi di Unicoop, Gruppo Tuo, Skybet, Fiorucci, Alfasigma, Eriksson e l’indotto delle aziende, soprattutto catering e pulizia, che lavorano per Alitalia; non sta meglio il settore della sicurezza privata, con quasi 1500 vigilantes a rischio.
A questi si aggiungono i lavoratori, tutti over 35, che negli ultimi due anni hanno perso il lavoro perché l’azienda ha chiuso: la Cgil cita gli 80 tecnici di telefonia mobile della Telis, i 30 della Telmec, i 50 di Oms, i 20 di Technosystem. In totale almeno 860 persone, tra ingegneri e tecnici specializzati. Anche loro fanno parte del ceto medio fatto di figli (piccoli) a carico, mutui da 600 a 800 euro, quartieri a ridosso del raccordo e poche speranze di ritrovare un lavoro garantito. Almeno a tempo indeterminato. «Porteremo al tavolo su Roma questi dati — spiega Donatella Onofri, segretaria regionale Cgil — ormai il metodo più diffuso è quello dei licenziamenti mascherati da trasferimenti che costringono il lavoratore a cambiare vita in condizioni impossibili e spesso è proposto da aziende che non hanno problemi di ordine economico”.
Salvatore Giuffrida
26 ottobre 2017