La Cgil: fuga a Milano, ora si teme per l’Eni.
Secondo un documento del sindacato, si rischia la delocalizzazione al Nord anche di altre aziende.
(Corriere Sera Roma, 16 marzo 2017)
La Cgil teme che la fuga al nord non sia finita. E nel documento «Difendiamo il lavoro a Roma: le situazioni di crisi aziendali» scrive nero su bianco i timori sulla tendenza delle aziende di spostarsi nell’hinterland milanese. Tendenza che riguarda in particolare il settore chimico e farmaceutico, compreso quello energetico e dei carburanti: nelle criticità per Eni (3000 addetti) e Saipem (100 progettisti), il sindacato riporta chiaramente «spostamento attività in hinterland milanese».
«Le politiche che si stanno determinando – afferma il segretario della Filctem Cgil Ilvo Sorrentino potrebbero portare a questo». Comunque per il momento «il condizionale è d’obbligo», aggiunge Sorrentino.
Ma per tutta la situazione del lavoro nel Lazio numeri sono impressionanti: arrivano a circa 11mila le persone investite dalle crisi aziendali, secondo i conti della Cgil. Dalla vertenza Alitalia, che dovrebbe portare solo su Roma a circa 2000 esuberi (anche se non si sa ancora quanti saranno effettivamente i licenziamenti e quanti invece verranno ricollocati) alle già ricordate ricollocazioni, come l’annunciato trasferimento di Sky a Milano che prevede lo spostamento di 300 persone e circa 120 licenziamenti.
«Ormai la fuga da Roma rischia di diventare inarrestabile vista l’assenza di un progetto politico che caratterizzi la capitale e la regione – afferma Michele Azzola, il segretario della Cgil di Roma e del Lazio -. Le diatribe hanno portato al fatto che qui le due istituzioni lavorano separate, cosa che al nord non succede. C’è invece bisogno di risposte congiunte per un piano di rilancio su alcune direttrici fondamentali». Quali? «Parliamo di turismo e cultura come opportunità: possiamo perdere un vettore come Alitalia, lasciando che compagnie aeree straniere decideranno nel futuro in quali capitali europee portare i turisti? Analogamente allo scalo di Fiumicino dove avevamo grandi specialità sulla manutenzione, possiamo ad assistere all’abbandono di quei capannoni senza provare a rilanciare viste le competenze che ci sono?». Per il Segretario della Cgil di Roma e del Lazio un’opportunità non colta è anche il Porto di Civitavecchia «ancora relegato a “porto turistico”, che con le navi da crociera caratterizza un turismo mordi e fuggì che non porta ricchezza, quando vista la collocazione dovrebbe essere anche scalo merci per il centro Italia».
Sono dunque la mancanza di una progettualità comune fra le istituzioni che governano Roma e il Lazio, oltre a quella di un inesistente rapporto con le università, a rendere più drammatica la situazione laziale secondo la Cgil, dove altri 6000 lavoratori in piccole imprese rischiano il posto. Dove perfino in imprese fiorenti, come quelle del settore agro-industriale, oggi ci sono 479 persone che temono di essere licenziate; e dove si corre il rischio che le lavanderie industriali che lavorano per la sanità (circa 310 persone), con l’appalto scaduto, finiscano a società esterne alla Regione «senza garanzie sulla qualità del servizio».
Ancora: il polo chimico e farmaceutico di Pomezia: «Andrebbero chiamate le imprese – dice Michele Azzola – per chiedere loro quali siano le modalità per mantenere alta la produzione. Innanzi tutto sulla ricerca e innovazione, strutturando un rapporto con le università. E anche nel Tecnopolo del Tiburtino dove si voleva costruire un ruolo di eccellenza per le nuove tecnologie dove abbiamo concentrato poche imprese e piccole non vi abbiamo collocato un’area universitaria che le sostenga».
Lilli Garrone
16 marzo 2017